BAIA E I SUOI TESORI
Bruto passeggiava nervosamente nel cortile interno del Ninfeo.
Egli, nonostante fosse il sovrintendente alla gestione e al mantenimento della villa dell’Imperatore, era piuttosto ignorante e poco amante dell’arte. Un uomo terra-terra come lui, la cui unica passione erano i sesterzi, si domandava che scopo ci fosse a riempire di “cosiddetti capolavori” una sala di ricevimento degli ospiti. Egli riteneva che tutte quelle fontane e decorazioni fossero più che sufficienti ad abbellire il Ninfeo; ma riempire con sculture ogni singola esedra del salone, come fosse una galleria d’arte, gli sembrava veramente esagerato! Non le aveva mai capite, lui, le velleità artistiche di Nerone.
Già, quella specie di pallone gonfiato sanguinario, che non valeva nemmeno il dito mignolo dell’Imperatore Claudio... infatti era suo figlio adottivo... Fu sua madre Agrippina che, sposando l'Imperatore, gli permise di entrare a far parte della dinastia giulio-claudia.
Il suo stomaco ricominciò a dargli
delle fitte impietose: gli era tornata la gastrite, da quando aveva realizzato
che il suo ingegnoso piano per diventare console, si era rivelato un buco
nell’acqua. Aveva commissionato il furto di quel gruppo di statue che ora
troneggiavano al centro della galleria, al solo scopo di guadagnarsi l’eterna
gratitudine di Nerone, ma purtroppo l’Imperatore, pur apprezzando l’iniziativa,
non si era mostrato grato quanto Bruto aveva sperato.
Guardò le tre sculture con rabbia. Quanto gli era costato quel… come accidenti si chiamava quel gruppo marmoreo? Ah, sì: "Ulisse e Baio con Polifemo". Rappresentava Ulisse e il suo compagno Baio che cercano di ubriacare il ciclope Polifemo, per poi poterlo accecare…
- Maledizione! – si disse – Mi è costato una fortuna commissionare
quel furto, per non parlare del rischio! –
Per calmarsi i nervi decise di farsi un rilassante bagno, nelle capienti vasche termali della villa, anch’ esse a pian terreno, accanto al Ninfeo; ma il suo servo venne ad annunciargli che la biga era pronta ed egli, indossato il mantello si avviò fuori.
Una brezzolina dall’odore salmastro spirava dal vicino Portus Julius.
Prese la via Herculeana, che costeggiava il Lacus Baianus, e si diresse verso il centro di Baia.
Riteneva che Baia fosse una bellissima città, anche se molto snob. Infatti era piena di ricchi patrizi, che avevano costruito le loro ville sulle sponde del Lago Baiano, per poter usufruire dell’acqua termale che la terra spirigionava.
D’altra parte si trovavano
nell’area vulcanica dei Campi Flegrei (Campi Ardenti), quale luogo
migliore per i bagni termali della nobiltà romana?
Sogghignò passando davanti a Villa
Pisone e si immerse nelle stradine, sulle quali si affacciavano botteghe e taverne.
Finalmente giunse alla villa del suo amico Cassio, quella comunemente chiamata
Villa a Protiro, dal suo particolare
porticato antistante l’ingresso. Fu introdotto nell’atrio centrale, sul quale
si affacciavano e prendevano luce tutte le stanze . Cassio venne a riceverlo e
lo portò nella sala dei banchetti.
- Hai visto?- gli disse trionfante
Cassio - ho fatto rifare il pavimento.
Bruto guardò ammirato il pavimento
decorato a mosaico, con piastrelle bianche e nere che creavano un motivo
esagonale e gli fece i suoi complimenti per il buon gusto.
Durante la festa si parlò delle ultime novità e si fecero i soliti pettegolezzi, ma l’argomento principe era Gaio Carlunio Pisone e la congiura contro Nerone. Pisone, infatti, proprio qualche settimana prima, era stato arrestato dalle guardie imperiali con l’accusa di aver complottato per uccidere l’Imperatore. Erano andati a prenderlo nella sua splendida villa e lo avevano portato a Roma per processarlo.
Insieme alla sua erano cadute parecchie altre teste di ricchi e importanti nobili,
alcuni di questi molto vicini a Nerone. Aveva fatto molto scalpore anche il
fatto che fosse implicato perfino Seneca, che sembrava così fedele
all’Imperatore. L’epilogo era stato il solito: alcuni furono giustiziati,
alcuni spinti al suicidio (o suicidati? Chissà…)e altri solo arrestati. Nerone,
secondo suo costume, aveva agito con pugno di ferro.
- Ed ora? Quella bella villa di
Pisone? Che fine farà? – domandò Cornelia, la moglie di Cassio.
- Sarà espropriata e finirà in mano all’Imperatore
– dissero i bene informati. E molti si rammaricarono di non averla mai potuta
vedere dall’interno. Se ne dicevano meraviglie. La curiosità spinse Bruto e i
suoi amici ad organizzare una visita guidata della villa in modo…non proprio
legale.
Il giorno dopo attesero l’ora della canicola - ora in cui, a causa del caldo eccessivo, nessuno si sogna di uscire per strada (e quindi la città è deserta) - e si introdussero furtivamente nella villa.
Furio, che c’era stato parecchie volte, si improvvisò guida. Li condusse attraverso il portico che circondava l’ampio giardino, e lungo infiniti corridoi. Attraversarono il giardino per andare ad ammirare il complesso termale, poi, sempre sotto la guida di Furio, si portarono sul lato opposto, dove si aprivano una serie di stanze di servizio che conducono alla parte marittima della casa, con grandi vasche per l’allevamento dei pesci.
- Dovevate sentire che cuoco aveva! –
decantava Furio - Specializzato in piatti a base di pesce. I festini dei Pisone
erano sempre riuscitissimi. Che peccato, però… ci mancheranno! –
Ed ecco che cominciarono a prendere
in giro Servio per essersi fatto plagiare l’idea proprio sotto il naso, e non
essersene nemmeno accorto.
Frattanto, nel vicino porto di Capo Miseno, storica sede della flotta imperiale, i soldati stavano approntando le navi per salpare da lì a due giorni, mentre il comandante Marzio stava legando i cavalli alla sua biga, per poter andare a Cuma. Lì sarebbe andato a consultare la Sibilla, il celebre oracolo del dio Apollo, la sua divinità favorita.
Da qualche tempo Marzio era
preoccupato per certi sogni che faceva, i quali finivano invariabilmente con un
annegamento. Qualche volta era solamente
lui, altre volte annegava in compagnia. Ma le sue sensazioni catastrofiche
nascevano dal fatto che, nel corso dei secoli il livello del mare fosse
decisamente salito.
Giunto che fu a Cuma, chiese ai
passanti dove fosse l’antro della Sibilla e finalmente lo trovò.
Subito lo assalì una sensazione di
freddo mentre attraversava quel lungo corridoio dalla forma trapezoidale
scavato nel tufo. La galleria gli sembrava infinita e il terrore cominciò a
farsi largo nel suo coraggioso cuore di soldato. Nonostante ciò proseguì, fino ad
arrivare in una stanza scavata nella roccia dove, pensava, avrebbe visto la
Sibilla… Ma non la vide, bensì la sentì.
Infatti la Sibilla cumana non aveva più un corpo, ma solo la voce.
Il dio Apollo, in cambio del suo amore, le promise di farla vivere tanti anni quanti granelli di sabbia conteneva la sua mano. Purtroppo però, non le donò l’eterna giovinezza... per questo dono il dio chiedeva in cambio la sua verginità...
La donna rifiutò e così la poveretta fu condannata a invecchiare senza morire mai. Il suo corpo si consumò nel corso dei secoli, fino a sparire del tutto. Rimase solo la sua voce, che continuava a profetare l’oracolo di Apollo, per coloro che ne facevano richiesta.
Appena Marzio entrò, la Sibilla non gli fece neppure formulare la sua domanda, che subito vaticinò: - Via!! Via da Baia! Solo i pesci governano la città! –
Quando egli lo riferì ai
commilitoni tutti pensarono che quel pallone gonfiato di Servio avrebbe riempito
la città con i suoi stupidi vivai e le sua assurde peschiere…
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